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domenica 17 aprile 2022

Fungo, Boletus edulis, Porcino, boleto, ceppatello - Commestibile

 Boletus edulis Porcino, boleto, ceppatello



I boleti sono, assieme al Cantharellus, i funghi piú ricercati. I vecchi: maestri della micologia pratica conoscevano, attorno al 1920. solo "il" B. edulis, e ne descrivevano un unico tipo: “Cappello bruno sodo, gambo nocciola reticolato, tubuli bianco-giallo-verdastinco-giallo-verdastri, carne bianca, immutabile. Nei boschi di latifoglie”

Tale definizione si adatta a tutte e sei le varietà che oggi vanno sotto il nome generico di porcino. Per B. edulis vale, di norma il legame con l'abete rosso, le querce ei castagni. Il cappello è biancastro al margine e la cuticola, rugosa, un po' umida e mai tomentosa, diviene vischiosa quando il fungo invecchia. I tubuli sono liberi e facilmente asportabili; con l'età diventano giallastri e poi verdognoli e costituiscono la cosiddetta “spugna”. La carne, prima soda e poi molle, ha un colore prima bianco e poi brunastro, soprattutto sotto la cuticola. Questo fungo compare a gruppi o anche isolato.

Ci sono giovani boschi isolati, in cui B. edulis cresce in grande quantità ogni cinque-sei anni, ma la sua presenza dura solo una settimana. Poi, rimangono solo i funghi vecchi e pochi ritardatari. Negli anni successivi, il fungo sembra estinguersi quasi completamente. Tutti i tentativi di coltivarlo sono rimasti senza succeso proprio perché esso vive in simbiosi micorrizica.




Funghi saprofiti, parassiti e micorrizici

 Funghi saprofiti, parassiti e micorrizici



I funghi che crescono in cerchi, ordinati in file o riuniti in folti gruppi, sono per lo più saprofiti: si nutrono, cioè, decomponendo parti morte delle piante, come foglie cadute, aghi o residui di legno, e trasformandole in utile humus. Saprofiti sono anche i funghi insediati sui tronchi e sulle ceppaie morte. A questi appartiene il maggior numero delle Poliporacee o funghi del legno. Un primo gruppo decompone la sostanza del legno, la lignina, producendo così la carie bianca; in seguito aggredisce anche la cellulosa. I rappresentanti di un secondo gruppo di funghi del legno vivono esclusivamente di cellulosa, cosicché la lignina scura viene conservata producendo la carie bruna. Fra di essi ce ne sono alcuni che distruggono anche legname da opera nei depositi, pali e staccionate.

La carie deriva dalla scomposizione di sostanze organiche complesse in strutture più semplici, che a loro volta vengono decomposte fino ai sali minerali e all'anidride carbonica. A questo processo prendono parte batteri e funghi saprofiti: i batteri sono più attivi in un mezzo alcalino, i funghi in un mezzo acido. Con la mineralizzazione, questa attività termina e il materiale cosi prodotto è di nuovo a disposizione delle piante verdi per la costruzione di nuove sostanze e per la sintesi di sostanze organiche.

Enorme è pure il numero dei funghi parassiti, che colpiscono le piante viventi, danneggiandole e portandole alla morte. Non solo il legno vivo degli alberi, ma anche radici, foglie e - addirittura - i fiori vivono costantemente nel pericolo di essere aggrediti da funghi patogeni. Soprattutto colpite sono le piante coltivate: ai funghi più pericolosi appartengono la peronospora della vite, il carbone dei cereali, la ruggine e la carie del grano e della segala.

Gli agenti di queste malattie producono il micelio, ma di solito non emettono corpi fruttiferi come i normali funghi dei boschi e dei prati.

Per l'attività forestale sono importanti soprattutto i funghi che provocano la carie del tronco e

dei rami, in primo luogo Armillariella melles Fomes annosus. Particolarmente minacciate sono le conifere in quanto trapiantabili in ambienti le cui condizioni climatiche - o del terreno - differiscono molto da quelle del loro naturale ambiente di crescita. Così, specie che generalmente attaccano solo legno morto diventano pericolose sorgenti d'inoculo.

Crescente interesse hanno suscitato, negli ultimi decenni, i funghi che crescono in prossimità delle radici di certe specie di piante. Ai più attenti raccoglitori di funghi è noto da sempre come alcune specie di funghi mangerecci si possano trovare solo nelle vicinanze di determinati alberi: cosí Suillus grevillei si trova solo presso i larici, Clavaria abietina presso gli abeti e Suillus luteus presso i pini. Accanto a quelli legati a una specie di pianta, c'è poi un grande numero di funghi che crescono sotto specie diverse. Cosí Amanita spissa spunta sotto le querce, ma anche, piú raramente, sotto i faggi, e Amanita muscaria cresce sotto gli abeti, ma anche sotto le betulle o i pini.

Questa dipendenza ha trovato una spiegazione solo nel primo ventennio del nostro secolo, dopo che è stato scoperto che i sottili peli radicali della maggior parte delle specie arboree sono coperti da un fitto reticolo di ife. Si è cosí potuto osservare che numerose ife si introducono, attraverso la corteccia delle radici, nelle cellule dello strato piú esterno degli alberi e qui terminano con piccoli gomitoli. Si è sospettato subito che si trattasse di un rapporto tra le radici degli alberi e i funghi, i cui miceli danno luogo a una formazio

ne sulle radici delle piante detta “micorriza”.

La dimostrazione sperimentale di tale fenomeno di simbiosi avvenne a opera dello svedese Elias Melin, il quale coltivò in una soluzione nutritizia sterile una sezione di carpoforo di Suillus grevillei. Contemporaneamente, furono coltivati anche embrioni di larice, ottenuti da semi deposti in vasi di coltura mantenuti sterili. Dopo alcuni mesi, le giovani piantine furono inoculate con micelio di Suillus grevillei: nel corso delle settimane successive si sviluppò, nella parte termina

le delle radici, la micorriza. In questo modo si era ottenuta la dimostrazione scientifica che Suillus grevillei è il fungo micorrizico del larice.

Anche Amanita muscaria, Boletus elegans e Boletus granulatus sono stati classificati tra i funghi micorrizogeni, anche se, però, corpi fruttiferi delle specie sperimentate non sono mai stati ottenuti nei vasi di coltura.

Hammarlund, un discepolo di Melin, ripeté le prove con Suillus grevillei, per chiarire ulteriormente l'importanza della micorriza. Egli, dopo qualche tempo, trapiantò le piantine inoculate in normali vasi da fiori e ottenne effettivamente, in uno dei vasi, un carpoforo di Suillus. I tentativi di coltura hanno sempre dimostrato che il micelio può crescere anche senza la presenza della pianta, ma sempre molto lentamente; aggiungendo al substrato di coltura estratti di radici degli alberi simbionti (cioè che vivono con quello specifico fungo) si ha una crescita considerevolmente più rapida.

La micorriza, diventata nel frattempo uno degli esempi più citati della simbiosi fra due organismi vegetali, offre ad ambedue i simbionti vantaggi nutritizi. Infatti, il micelio assorbe dal terreno l'acqua e i sali minerali in essa disciolti e li cede alla pianta attraverso il mantello fungino che ricopre la radice. Le cellule radicali contaminate dal fungo sono quindi in grado di provvedersi di ulteriori sostanze nutritizie, soprattutto in periodi di maggior fabbisogno, per esempio nel periodo della fruttificazione. La pianta a sua volta cede al micelio fungino le sostanze assimilate attraverso il processo fotosintetico, zuccheri e amido, che sono trasportate dalle foglie alle radici. Al momento della formazione dei carpofori, il micelio sottrae dalle cellule delle radici le sostanze necessarie alla formazione dei corpi fruttiferi; da ciò deriva che i miceli dei funghi micorrizici non sono in grado di fruttificare senza la presenza del loro albero simbionte.

La micorriza che, con un intreccio del micelio, avvolge le radici apicali di piante superiori viene detta “micorriza ectotrofica”. Il corrispondente si trova nelle orchidee, nelle eriche e in molte altre piante: i loro funghi vivono all'interno delle cellule ed esse sono quindi collegate al terreno attraverso ife di alimentazione. Qui si tratta di "micorriza endotrofica". Fra le orchidee vi sono alcune specie che non producono alcuna clorofilla. L'esempio più noto è la Neottia, una pianta appartenente alle Orchidacee che è eterotrofa esattamente come il suo fungo e dipende, per il nutrimento, esclusivamente dal fungo simbionte, poiché non può utilizzare direttamente le sostanze nutritizie organiche che derivano dal suolo. I funghi delle orchidee e tutti i funghi endotrofici viventi nelle radici non producono mai corpi fruttiferi. Per questo motivo non è sempre possibile classificarli in gruppi specifici.







L'apparato vegetativo dei funghi e i suoi effetti evidenti sull'habitat.

 L'apparato vegetativo dei funghi e i suoi effetti evidenti sull'habitat.

Ogni fungo è costituito da due strutture fondamentali: dal carpoforo o corpo fruttifero - comunemente chiamato, appunto, fungo - che forma l'apparato riproduttivo, e dal micelio, che forma l'apparato vegetativo. Il micelio, formato da un reticolo di filamenti (ife), svolge, infatti, come i peli radicali delle piante superiori, la funzione di assumere nutrimento dal substrato su cui vive il fungo. Cosi, per esempio, il micelio di certi micromiceli si presenta sotto forma di muffa verde sugli agrumi, quello di Armillariella mellea, o chiodino, forma placche biancastre sotto la corteccia al piede dei tronchi, mentre in certi prati la particolare diffusione del micelio di una colonia di funghi può portare al caratteristico fenomeno del “cerchio delle streghe”.



Ognuno di tali filamenti cellulari viene chiamato “ifa”.

Tutti i filamenti di questo reticolo svolgono funzioni nutritizie, esattamente come i sottili peli radicali nelle piante superiori. Nella lettiera dei boschi o nei prati, i miceli possono continuare a crescere per anni e produrre corpi fruttiferi sulle loro parti piú giovani.

Se i prati vengono concimati solo con stallatico oppure sono utilizzati esclusivamente come terreno da pascolo, allora vi si insediano spesso specie come Agaricus campester, Marasmius oreades, Bovista, che diffondono i loro miceli in senso centrifugo dal punto di sviluppo. Al margine esterno di queste colonie miceliari crescono a intervalli, e per lo più contemporaneamente, i corpi fruttiferi, cioè i funghi, che si dispongono in cerchi più o meno ampi.

Tali cerchi di funghi hanno da sempre stimolato la fantasia popolare. La leggenda dice che essi nascono dove, di notte, danzano le streghe e gli elfi. Ancora oggi, del resto, tali formazioni sono chiamate “cerchi delle streghe”. Dove i funghi sono disposti a cerchio, l'erba è più alta e morbida rispetto a tutt'intorno. Quando i funghi sono scomparsi, il cerchio di erba continua a rimanere di un verde più scuro. Nel metabolismo del micelio viene liberata, infatti, l'ammoniaca, che agisce come concime per lo strato erboso.

In annate particolarmente asciutte avviene tuttavia il contrario: siccome il micelio ha una capacità di assorbimento molto maggiore rispetto a quella dell'erba, le ultime riserve d'acqua vengono accumulate dal micelio, mentre l'erba si dissecca completamente. Anche in questo caso, anzi ancora di più, i cerchi delle streghe si vedono chiaramente per il loro colore bruno rispetto alle superfici erbose diventate giallastre.

Quando, dopo una settimana di siccità e di temperature estive diurne, una tale superficie di prato viene investita da una leggera pioggerella pomeridiana, sul cerchio delle streghe spuntano, già il mattino successivo, i primi Agaricus campester, alcuni dei quali con cappelli larghi fino a 5 cm: il giorno prima non si sarebbe potuto vedere il più piccolo fungo.

Il micelio di un cerchio delle streghe si estende ogni anno; il diametro si allarga costantemente e può raggiungere parecchi metri. Anche dei funghi che non formano cerchi delle streghe si conosce il continuo sviluppo del micelio nel terreno. Per esempio, presso la scarpata lungo un sentiero nel bosco, il luogo di crescita delle morchelle si allarga annualmente di alcuni metri.

Sulle pigne delle conifere si è specializzato Strobilus esculentus. Il suo micelio si insedia sulle pigne sia cadute al suolo anche da un anno sia sotterrate nel terreno.


Dove nascono e come crescono i funghi e Come si nutrono i funghi

 


Dove nascono e come crescono i funghi
Dopo un paio di giorni di pioggia nel sottobosco compaiono dappertutto i funghi: alcuni con i cappelli dai bei colori su gambi lunghi o brevi, altri piccoli e graziosi con colori non appariscenti; alcuni altri in fitti gruppetti sul legno vecchio, altri ancora in gruppi tra le foglie e gli aghi oppure su cuscinetti di muschio. A dir la verità, i funghi a cappello sono di solito la maggioranza; tuttavia, presto ci si accorge di altre forme del tutto diverse: sui ceppi degli alberi spuntano lateralmente delle mensole, sul terreno compaiono forme ramificate che ricordano i coralli o che assomigliano alle pere; altre volte si possono vedere solo croste bianche o colorate, che non sembrano neanche funghi.

Come si nutrono i funghi

Tutti i funghi, per quanto diverse possano essere le loro forme, sono privi della sostanza verde delle foglie, la clorofilla, posseduta da tutte le piante erbacee e arboree. Di conseguenza, i funghi non sono in grado di nutrirsi direttamente di sostanze organiche, esattamente come gli uomini e gli animali. Assumono bensì sali minerali dal substrato (per esempio. il legno o il terreno). Tuttavia, non producendo essi stessi l'energia necessaria per la sintesi delle sostanze nutritizie, non hanno altra risorsa che le sostanze energetiche del loro ambiente: sono pertanto "eterotrofi”.

Le piante verdi sono al contrario "autotrofe", cioè si nutrono esclusivamente di sostanze inorganiche, che assumono in parte attraverso le foglie e in parte dal terreno attraverso le radici, e che poi trasformano in sostanze organiche.

Qual è dunque il meccanismo attraverso cui i funghi assumono il loro nutrimento? Ciò che si vede in un bosco ricco di funghi sono solo i corpi fruttiferi o carpofori, quelle strutture, cioè, che vengono raccolte per essere mangiate o utilizzate per scopi scientifici.

Per avere un'idea degli organi che presiedono alla nutrizione micologica, si possono esaminare le ceppaie in via di disgregazione ricoperte di funghi. Se si scava delicatamente in tale substrato si troveranno in molti casi dei sottili filamenti bianchi che, dal corpo del fungo, si infiltrano legno decomposto diventando sempre

O nel alla fine, invisibili. Tale reticolo di filame chiamato “micelio”, rappresenta il sistema vegetativo dei funghi.

Poi, si possono trovare miceli anche negli strati di foglie morte, se le si separano l'una dall'altra quando sono pressate. Miceli di fitomiceti fanno talvolta la loro comparsa anche sulle marmellate, sui residui di pane mantenuti in ambiente umido e sui residui vegetali. Essi all'inizio formano come una muffosità feltrosa circolare, piatta, per lo più bianca, che rapidamente cresce e che può ricoprire in modo rigoglioso tutto il substrato. Al microscopio si può vedere come tale micelio sia formato da filamenti esilissimi, costituiti da cellule divise da pareti trasversali.


Il nome dei funghi


 Fistulina hepatica merita senza dubbio il nome popolare di "lingua di bue".

Otidea onotica non poteva che chiamarsi "orecchie d'asino".

Certamente i funghi Armillariella mellea assomigliano a "chiodini".

Per Lepiota procera i paragoni possono essere due: "mazza di tamburo" o, quando il cappello è aperto, "ombrello parapioggia".

I funghi hanno ricevuto nomi scientifici solo nel secolo XVIII a opera dei padri della nomenclatura micologica: C.H. Persoon e lo svedese E.M. Fries. È, a questo proposito, interessante e utile notare come

spesso il nome dei funghi, sia esso scientifico o di tradizione popolare, derivi da sue specifiche caratteristiche funzionali, si riferisca a particolari condizioni abitative o ambientali, nasca dalla struttura o dalla forma particolare che quella determinata specie assume. Facciamo alcuni esempi: Amanita muscaria deriva il proprio nome dalla sua presunta azione moschicida; Polyporus ovinus dalla facilità con cui le pecore e le capre se ne cibano; altri funghi derivano il nome dalla somiglianza con parti di animali, quali orecchie d'asino (Otidea onotica), lingua di bue

(Fistulina hepatica), porcino (Boletus edulis), gallinaccio o galletto (Cantharellus cibarius). Altri nomi si riferiscono a caratteristiche molto evidenti che colpiscono subito l'occhio del raccoglitore, come i "lattari", che, appena spezzati, gemono un latice biancastro o color carota, e i "chiodini" (Armillariella mellea), per l'aspetto che ricorda negli stadi giovanili un grosso chiodo; altri, infine, dal substrato o sede su cui si sono differenziati, come il "piopparello", che vive sul pioppo, o il "prataiolo", che vive nei prati e nei terreni grassi.

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